Mitridate, Vienna, van Ghelen, 1728

 ATTO QUINTO
 
 Deliziosa che guida agli appartamenti della regina.
 
 SCENA PRIMA
 
 ARISTIA e DORILAO
 
 DORILAO
 Da te, ch’esserne stanca
1360dovresti omai, fugga spavento; e vanne
 al tuo sposo e al tuo re.
 ARISTIA
                                            Vizio di lunga
 miseria siasi o di vicini mali
 siasi presentimento,
 aprir non posso a l’allegrezza il petto.
 DORILAO
1365Mali ti vai fingendo. E di che temi?
 ARISTIA
 Che saper posso? Anche tra i fior sta l’angue.
 Entro pronube tazze
 v’è tosco ancor. Va coronata a l’ara
 la vittima e vi cade.
 DORILAO
1370Intendo. Ti è sospetta
 la regal fede.
 ARISTIA
                           E ’l mio protervo fato.
 DORILAO
 Rassicurati. Incombe
 a me solo apprestar quanto fia d’uopo
 al rito nuzial; né di me credo
1375che in te dubbio esser possa.
 ARISTIA
 Forza si adopra, ove non vaglia inganno.
 DORILAO
 Né di ciò paventar. Son ne la reggia
 del campo i primi duci, armati e pronti
 di Farnace in difesa.
1380Che più t’affanni?
 ARISTIA
                                    È ver; quello che temo,
 o troppo indarno o troppo tardi il temo.
 
    Cento pensieri e cento,
 quai da contrario vento
 nubi qua e là sospinte,
1385intorno a l’alma mia vengono e vanno.
 
    L’un l’altro incalza; or viene
 smania, or timore, or spene;
 questo alfin cede e quello e resta affanno.
 
 SCENA lI
 
 DORILAO e poi APAMEA
 
 DORILAO
 Tanto agli affetti altrui diedi sinora
1390che il mio... Vien chi l’accese.
 APAMEA
 
    Dimmi il vero, or che siam soli;
 amor mio, come stai tu?
 
    Di’ se piangi il ben che perdi
 o se è ver che ti consoli
1395una misera virtù.
 
 DORILAO
 Sì pensosa, Apamea?
 APAMEA
                                          Dimmi: «E sì mesta?»
 DORILAO
 Di che?
 APAMEA
                  E mel chiedi? Amo Farnace e ’l perdo.
 DORILAO
 Non credea che potesse esserti in pena
 opra ch’era in tuo voto.
 APAMEA
1400Eh! Prence, altro è ’l dovere, altro è l’amore;
 il dover fa i suoi sforzi;
 ma l’amor si risente; e alfin vien tempo
 che si accorge del danno e ne sospira.
 DORILAO
 Ma se ne pente alor?
 APAMEA
                                         No, che il pentirsi
1405senza pro gli torria quel suo di gloria
 miserabil conforto.
 DORILAO
 Ti ammiro e ti compiango.
 APAMEA
 Pietà rendanmi tutti; un fido amante
 siami in util consiglio e diami pace.
 DORILAO
1410Cancella di Farnace
 l’immagine dal core.
 APAMEA
 Sì altamente vi sta che ne dispero.
 DORILAO
 Altra ponvi in sua vece.
 APAMEA
 Ma qual? Di merto almeno egual l’addita.
 DORILAO
1415Di tanto io non mi pregio.
 Ma se conti in mio pro la lunga fede,
 le sofferenze...
 APAMEA
                             È questo
 quel generoso amor, ch’io ti richiesi,
 di amar sempre Apamea più che te stesso?
 DORILAO
1420Nol feci in ubbidirti?
 Per un rival mi esposi,
 e ciò ch’è più, per un rival che amavi.
 APAMEA
 Perché appunto io l’amava,
 quest’era il tuo dover.
 DORILAO
                                           Di Mitridate
1425l’ire in me provocai.
 APAMEA
                                        Qual è l’amante,
 cui per l’amato oggetto
 non sia caro il morir? Lo vantan tutti;
 e se pochi lo fan, vuoi tu de’ vili
 seguir l’esempio? Onorerò, se muori,
1430di lagrime il tuo rogo
 e la tua tomba spargerò di fiori.
 DORILAO
 Pietosa inver mercede!
 APAMEA
 Ritienti il tuo consiglio e vanne omai
 e sollecita pur le per me infauste
1435nozze, onde alcun di speme
 adito non mi resti.
 DORILAO
 E poi verrò dal tuo dolore a udirne
 rimproveri e querele...
 APAMEA
 E a soffrirle e a compiangere il mio amore
1440e del tuo a non parlar.
 DORILAO
                                           Beltà crudele!
 
    Quando a voler amar s’indusse il core,
 piacer mi presentò, mi ascose affanno.
 
    Or che penando ei sta: «Cor mio» gli dico
 «meschin, mi fai pietà, se il tuo fu errore;
1445crudel, sdegno mi fai, se il tuo fu inganno».
 
 SCENA III
 
 LADICE e APAMEA
 
 LADICE
 Te appunto io qui volea. Forza è che sgridi
 la viltà, con cui soffri i gravi oltraggi.
 APAMEA
 Madre....
 LADICE
                    Vedrai ben tosto
 qual da me si punisca
1450un’ingiuria del trono.
 APAMEA
                                          E che? Delusa
 mi avresti?
 LADICE
                        Taci. A noi vien Gordio.
 APAMEA
                                                                     E ’l segue
 uom di aspetto e di vesti a noi straniero.
 
 SCENA IV
 
 GORDIO, OSTANE e le suddette
 
 GORDIO
 Attendi. A la regina, (In lontano ad Ostane)
 che colà vedi, renderai ragione
1455del pegno a te commesso. (Ostane vuol fermar Gordio; ma questi si avanza verso Ladice e le parla all’orecchio presente Apamea)
 OSTANE
 (A la regina?... Io dovrò a lei di Aristia (Tra sé)
 dir gli affetti? La fuga? Ecco in me tutta
 la colpa altrui. Sempre i meschini han torto).
 LADICE
 Lasciami respirar. Tutta commossa (A Gordio)
1460mi si è l’anima in petto.
 APAMEA
 Di abbracciar la germana
 datemi, o dei.
 LADICE
                             Fa’ che si avanzi. (A Gordio che va ad Ostane)
                                                              In volto (Ad Apamea dopo aver mirato fisso Ostane)
 turbato par.
 APAMEA
                         Timore
 che al primo incontro un regio sguardo imprime. (Ostane si avanza alquanto)
 LADICE
1465Appressati, o stranier. Libero e senza
 mentir rispondi.
 OSTANE
                                  È pregio
 de la gente, ov’io nacqui, un dir sincero.
 LADICE
 Donde sei tu?
 OSTANE
                             Scita, o regina. Ostane
 mi appello; e Colco è la mia patria.
 LADICE
                                                                 Hai figli?
 OSTANE
1470Figli non ho; ma quanto
 sia amor di padre, il provo.
 LADICE
 E se figli non hai, chi in cor ti ha desto
 un sì tenero amor?
 OSTANE
                                      Vaga fanciulla
 che ancor non eccedea l’anno secondo,
1475in ricche fasce avvolta.
 LADICE
                                            Onde l’avesti?
 OSTANE
 Gordio il sa. Fu in quel tempo
 che de la patria mia fatal conquista
 fecer l’armi romane.
 LADICE
 Che di te? Che di lei nel giro avvenne
1480di vent’anni omai scorsi?
 OSTANE
                                                 Ambo cattivi
 abbiam seguito il vincitor.
 LADICE
                                                   Vi tolse
 di lunga servitù riscatto o fuga?
 OSTANE
 Emilio, un de’ più illustri
 romani, in cui poter sorte ne pose,
1485a me diè libertade.
 LADICE
                                      E a lei?... Tu taci?
 Fors’ella è morta? O prigioniera in Roma
 core avesti a lasciarla?
 OSTANE
 No, regina, ella gode
 di libertà e di vita.
 LADICE
1490(Respiro). In Eraclea
 l’avrai condotta da l’ausonia terra.
 OSTANE
 È in Eraclea; né ve la trasse Ostane.
 LADICE
 Da sé venne o con altri?
 OSTANE
 Regina, eccomi al duro
1495varco, ove il cor vacilla.
 GORDIO
 Non v’è luogo a timor, dicendo il vero.
 OSTANE
 Male è, se parlo, e male ancor se taccio.
 LADICE
 Con tuo danno il dirai, se ancor resisti.
 APAMEA
 Che fia?
 OSTANE
                   Pietà. Sedotta
1500fu l’infelice. Amore
 ne’ petti giovanili
 trova facile accesso. Io tardi il seppi,
 che infermo alor giacea. Ma un nodo sacro
 al suo amator l’avvinse e ascostamente
1505seco fuggì di Roma. Io dopo lungo...
 LADICE
 Fuggì? Dove? Con chi?
 OSTANE
                                             (Dirlo pur deggio?)
 LADICE
 Non frammetter più tempo.
 OSTANE
 Col principe Farnace.
 LADICE
 Con Farnace?
 OSTANE
                            A lei sposo.
 LADICE
                                                   E qual si appella
1510colei? Su. Tosto. Di’.
 OSTANE
                                        Pietà, o regina, (S’inginocchia)
 de l’infelice Aristia.
 GORDIO
                                       Aristia?...
 OSTANE
                                                           È quella
 che a me fidasti...
 LADICE
                                   Ahi lassa!
 Ahi lassa! Dubbio non v’è più.
 APAMEA
                                                         Qual pena!...
 LADICE
 Gordio, Apamea, seguitemi. Se a tempo
1515non giungo, o feral gemma! O scellerate
 nozze! O rea madre! O sfortunata figlia! (Parte furiosa)
 APAMEA
 Nol permettete, o dei. (Parte)
 GORDIO
                                            Tu ne recasti
 col tuo tardo venir cotante angosce. (Parte. Ostane si leva partiti tutti)
 
 SCENA V
 
 OSTANE
 
 OSTANE
 Così va. Nei gran mali
1520la colpa è dei più deboli. Ma poco
 di ciò, di Aristia ho pena. Ella esser deve
 certo in qualche aspro rischio.
 Me ne avvidi a le smanie
 della regina; e in queste
1525di ravvisar mi parve anche la madre.
 Insomma è ver che, se non bada al saggio
 parlar di chi da l’uso e da l’etade
 è addottrinato, gioventù si perde.
 Statene in guardia, o voi
1530di fresca guancia e di bel volto adorne.
 Siavi Aristia in esempio. A lei sol venne
 onta, danno e periglio
 dal seguir genio e dal fuggir consiglio.
 
    Qual pro da cocchio aurato,
1535senza una man che ’l regga
 e i fervidi destrier freni e corregga?
 A rompersi egli va tra balze e sassi.
 
    Beltà, qualor rigetti
 da sé consiglio e guida,
1540spinta dai caldi affetti,
 ove non dee trascorre e a perder vassi.
 
 Salone con logge all’intorno.
 
 SCENA VI
 
 MITRIDATE sedente ad un tavolino
 
 MITRIDATE
 Son io più Mitridate? Irresoluti
 perché così, miei forti affetti? Io quasi
 più non mi riconosco.
1545Non furono più giuste
 mai l’ire mie. Puniti
 ho cori meno perfidi. Se questa
 viltà, se queste smanie
 tu sapessi, o Farnace... Ah! Qual ne l’alma (Si ferma alquanto)
1550vienmi pensier!... Così convien. Si faccia; (Risoluto)
 e se possibil fia, basti al mio sdegno
 che dia pianto, non sangue, il figlio indegno. (Si leva)
 
    Quest’anima atroce
 ancor non sapea
1555che fosse pietà.
 
    Ne l’atto feroce
 di perder un figlio
 già ’l sente e Io sa. (Nell’atto di voler ripigliar l’aria, viene interrotto dalla sinfonia dell’accompagnamento che siegue. Preceduti da lungo corteggio di popoli e di soldati e da una allegra sinfonia, accompagnati dipoi da coro e da ballo, si avanzano sopra una macchina luminosa e riccamente ornata, la quale rappresenta la reggia del Piacere e dell’Allegrezza, Farnace ed Aristia nell’alto di essa seduti, con coro a’ piedi de’ musici che formano il coro. Giù per le logge calano nello stesso tempo dall’una e dall’altra parte le guardie reali)
 
 SCENA VII
 
 FARNACE, MITRIDATE, ARISTIA, coro dei seguaci del Piacere e dell’Allegrezza, che cantano e danzano, popolo, soldati, eccetera
 
 CORO
 
    Venga la coppia amante;
1560e a tante pene e tante
 per lei succeda e stabile
 sia ilarità e piacer. (Suonan di nuovo gl’instrumenti)
 
    Amor le scuota inante
 la bella sua facella;
1565e sien gli andati spasimi
 ragion di più goder. (Di nuovo la sinfonia. Scendono Farnace ed Aristia, rimanendo il coro sopra la macchina)
 
 MITRIDATE
 Ai preghi di Ladice, (Si avanza verso di loro).
 agli affetti del figlio, al comun voto
 e più che ad altro, Aristia,
1570al tuo cor generoso,
 vinti i sospetti rei, mi arresi alfine.
 Lieta vieni e sicura a quella sorte,
 da te bramata assai, sperata poco,
 ch’io t’accolga e t’abbracci, al figlio erede
1575degna compagna e sposa.
 ARISTIA
 Signor, la cui bontade
 discopre il generoso animo regio,
 se d’esserti umil serva
 mi degni, io stimo il dono
1580più che la vita, a cui mi rendi, e al pari
 del figlio, a cui mi unisci.
 Ma, sire, al mio perdona
 pusillanimo cor. So che ne l’alta
 tua mente, usa ai trionfi
1585di un aperto valor, non può aver loco
 fraude, d’alme plebee costume iniquo.
 Pur, se la mia viltà, s’altro interesse
 di regno ti astrignesse,
 diasi liberamente
1590questa misera salma ai forti impegni
 de la grandezza tua. Ti basti Aristia;
 e Farnace a te serba, almo sostegno
 del tuo onor, del tuo sangue e del tuo regno.
 MITRIDATE
 Del tuo timor si sdegneria qualunque
1595Mitridate non fosse. Omai per fermo
 tienti, e ti do mia fé, che per Farnace
 conservo amor di padre
 e che seco vivrai lunghi e felici
 giorni, se da la man del figlio istesso
1600non ricevi la morte.
 FARNACE
                                       Ah! Che a me stesso
 prima vita torrei che a te, mio bene. (Dorilao, seguito da due paggi, i quali depongono poscia sopra il tavolino due baccini d’oro, nell’uno de’ quali sono un vase e una tazza e nell’altro una ghirlanda di edera)
 
 SCENA VIII
 
 DORILAO, MITRIDATE, FARNACE e ARISTIA
 
 DORILAO
 Eccoti, sire, il verde serto, il sacro
 liquore e l’aureo nappo.
 MITRIDATE
 Tutto colà si posi.
1605Io sacerdote e re, dei coniugali
 numi ai riti ministro, e Giuno invoco
 e Lucina e Imeneo
 e Cupido e Lieo.
 Quella di verdeggiante edra tu prendi
1610ghirlanda, o figlio, e ne corona il vaso;
 e poi lascia ch’io ’l vino
 versi nel nappo e lo ricolmi. Intanto
 suon ne accompagni e canto. (Farnace prende la ghirlanda e la mette intorno il vaso; lo presenta dipoi a Mitridate che lo versa nella tazza)
 DORILAO e ’L CORO
 
    Auspici e liete
1615a noi scendete,
 Giuno e Lucina;
 e tu Imeneo
 col buon Lieo;
 
    e Cupidine ancor qui batta intorno
1620l’ali festose e scuota l’arco adorno.
 
 MITRIDATE
 Ecco, la tazza or prendo; e se or v’è inganno,
 odanmi tutti; e se or v’è inganno, scenda
 sovra il mio capo ogni sciagura. Io primo,
 fido mallevador, ne beo gran parte.
 DORILAO
1625Qual dubbio or più rimanti?
 ARISTIA
 Comincio a respirar.
 MITRIDATE
                                         Prendila, o figlio;
 e pria quello che in dito anel ti splende
 riponvi e di tua man poscia la porgi
 a l’amabile sposa. (Farnace cavasi di dito l’anello, datogli da Mitridate, e lo pone nella tazza che poi da lui vien presentata ad Aristia)
 ARISTIA
1630Prence, da la tua man venirmi cosa
 che mi offenda non può. Di ardir già piena,
 se non di gioia, ecco l’accosto... (In atto di voler bere, vien fermata da Ladice che impetuosa correndo arriva a tempo di torle di mano la tazza e di gIttarla a terra, insieme con l’anello ripostovi)
 
 SCENA ULTIMA
 
 LADICE, poi APAMEA, GORDIO, OSTANE e i suddetti
 
 LADICE
                                                           Ahimè!
 Fermati. Ahimè! Vanne, empia tazza, e teco
 la venefica gemma.
 FARNACE
1635Viene a sturbarmi questa furia ancora?
 MITRIDATE
 Ladice...
 LADICE
                   O dolce figlia! O cara Eupatra!
 Io t’ho quasi in un punto
 ritrovata e perduta.
 ARISTIA
 (Son fuor di me).
 MITRIDATE
                                   Che dici? (A Ladice)
 LADICE
1640Mitridate, sì, questa è quella Eupatra,
 pianta da me vent’anni.
 Il ciel m’ebbe pietà, quand’io più indegna
 n’era. Viscere mie, t’ho quasi uccisa
 col reo veleno in quell’anel racchiuso.
1645Qual pianto, qual supplicio
 purgato avria sì abbominevol colpa?
 FARNACE
 (Falso non era il suo dolor).
 ARISTIA
                                                    Regina,
 madre, non l’oso ancor, né ciò ch’io pensi
 né ciò che dica or so. Passar repente
1650da l’esser di tua serva a quel di figlia?
 MITRIDATE
 Principessa, se i forti
 riguardi de l’impero
 mi rendettero avverso a’ tuoi desiri,
 questo, che senza inganno
1655nel soave tuo sposo a te offerisco,
 pregevol dono ogni altro error corregga.
 ARISTIA
 Per lui, gran re, mali soffersi e mali
 maggiori soffrirei.
 FARNACE
 Reser giustizia al nostro amor gli dei.
 APAMEA
1660Salva sei; pur t’abbraccio.
 ARISTIA e APAMEA
 Mia diletta germana. (Si abbracciano)
 GORDIO
 In te Gordio anche onori
 la suora di Tigrane.
 OSTANE
 Si lasci anche ad Ostane
1665goder, se pianse. Aristia,
 che Aristia sempre a me sarai.
 ARISTIA
                                                          D’amore
 e tu sempre a me padre.
 GORDIO
 Quanti a noi beni apporta un sì felice
 discoprimento!
 FARNACE
                               A te assicura un figlio. (A Mitridate)
 ARISTIA
1670A me consorte e madre.
 LADICE
 Odio in me spegne e lutto.
 APAMEA
 Reca pace al mio amor.
 DORILAO
                                             Speranze al mio.
 MITRIDATE
 Ma tante gioie in me ricadon tutte
 quai linee in centro. I patti
1675così serbo a Tigrane,
 unendo il figlio a la real germana,
 per dover poi meglio far guerra a Roma
 e di lauri più illustri ornar la chioma.
 
    Lieti godano gli amori;
1680e poi Marte i suoi furori
 svegli a l’armi e intuoni guerra.
 
 CORO
 
    Lieti godano gli amori;
 e poi Marte i suoi furori
 svegli a l’armi e intuoni guerra.
 
 MITRIDATE
 
1685   Da l’Arasse e da l’Eusino
 scenda il turbine e vicino
 tu ’l paventa, ausonia terra.
 
 Segue il ballo dei seguaci del Piacere e dell’Allegrezza.
 
 Fine del dramma
 
 LICENZA
 
 Pace, pace da l’Istro a noi risponde
 quel pacifico invitto augusto Carlo,
1690cui più recan di gloria e di contento
 i popoli salvati
 che i nemici prostrati.
 Non è già che in lent’ozio egli abbia spesi
 i verd’anni e i robusti,
1695tra gli agi e le lusinghe
 di sua grandezza, o che a lui pur non piaccia
 quel suon guerrier che gli fe’ sempre, ovunque
 rivolse l’armi, a le vittorie invito.
 Ma di tutti i trionfi,
1700il più illustre è per lui far che lontano
 il sanguinoso Marte agiti l’asta
 e che i riposi al suo felice impero,
 dati dal senno e dal valor difesi,
 sieno anche norma a la divisa Europa.
1705V’è chi ne freme e occulti
 semi di guerra in suo pensier nudrisce
 e attento veglia e come possa e quando
 spargerli in altri; ma l’augusto Carlo
 là volge un guardo, alza la destra e «Pace»
1710grida; il furor non osa e siede e tace.
 
    Bel veder per la tua gloria
 te de l’Istro in su la riva
 star, gran Carlo, e nol varcar.
 
    E di là star la vittoria
1715che ti chiama e che ti aspetta;
 né tu ’l vuoi, sì ti diletta
 più che al mondo, a Dio regnar.